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sabato 28 settembre 2013

Isterie aziendali





Mercoledì mattina, il Responsabile Intermedio non fa neanche in tempo ad arrivare in ufficio e tutto giulivo comunica al Dipendente Riluttante che la riunione di avanzamento progetto di cui parlavano in termini vaghi da una decina di giorni è diventata questione di vita o di morte. Il Dipendente Riluttante è perfettamente consapevole che si tratta di una delle solite isterie da scadenza autoinventata che periodicamente si propagano all'interno dell'azienda, ma non può far altro che far finta di crederci ed essendo lui il responsabile di questa fase del progetto chiede entro quando dovrebbe organizzare la riunione. Il Responsabile Intermedio in preda al furore agonistico dice che nella mega riunione che si è conclusa il giorno prima a tarda ora gli allegri commensali hanno già verificato che l'unica finestra utile è convocarla Venerdì dalle 17,30 in poi.


Il Dipendente Riluttante gli risponde che a quell'ora lui ha un impegno famigliare e che non può e non intende annullarlo con soli due giorni di preavviso e che non gli sembra comunque molto corretto dare per scontata la sua disponibilità fuori orario lavorativo con soli due giorni di preavviso. Prova a proporre di convocare la riunione il Lunedì o il Martedì, anche in tarda serata, ma tutto è inutile: se la riunione non viene fatta in quell'orario l'azienda potrebbe chiudere entro poche settimane....
Ne segue un litigio e alla fine si conclude che il Dipendente Riluttante proverà a sentire i partecipanti per trovare un orario nei giorni seguenti.
L'indomani il Dipendente Riluttante va a chiedere al Direttore Commerciale Estero, che dovrebbe essere quello per cui l'unica ora utile era quella di Venerdì alle 17,30 che gli dice che in realtà per lui Venerdì è impossibile perché ha una visita e si sarebbe liberato non prima delle 18,30, ma che per lui Lunedì e Martedì vanno benissimo. Così la riunione viene organizzata per il Martedì successivo molto tranquillamente.


Così funzionano le cose in azienda: tutto a un tratto attività che potrebbero scorrere tranquillamente vengono percepite come in ritardo o non abbastanza in tensione e a causa dell'ansia che si crea, si decidono azioni dimostrative e di espiazione. Cercare di organizzare una riunione Venerdì sera dopo l'orario lavorativo molto spesso non serve a niente, ma raccontarselo è utile a dimostrarsi l'un l'altro come si sia dediti alla causa.
In definitiva sono azioni di nessuna utilità pratica, dettate solo da momenti di isteria collettiva e sembrerebbe assurdo che persone adulte e mature, che dovrebbero affrontare il proprio lavoro con professionalità ed esperienza si abbandonino a queste reazioni completamente irrazionali.
Eppure è quello che in azienda capita continuamente. 

martedì 24 settembre 2013

Orari flessibili? Flessibili una cippa





Continuiamo l'argomento dell'ultimo post con un episodio reale. Nell’azienda in cui attualmente lavora il Dipendente Riluttante è possibile entrare con una tolleranza massima di tre minuti rispetto a tre orari (8,00-8,30-9,00) e uscire di conseguenza: se si entra alle 8,04 è come se si fosse entrati alle 8,30 e quindi si perde di fatto quasi mezz’ora. Il Dipendente Riluttante nell’azienda in cui lavorava prima, visto il suo livello di inquadramento, non timbrava e l’orario era conteggiato a forfait anche se c’erano comunque controlli a vista (!?) abbastanza rigorosi. Quindi è stato comprensibilmente contrariato quando ha capito questo meccanismo dopo essere entrato nell’ultima azienda, visto che la Responsabile del Personale glielo aveva presentato come un “orario flessibile” con entrata dalle 8 alle 9: un orario flessibile vuol dire che si può entrare quando si vuole in quella fascia (a volte anche più ampia) e che si può uscire 8 ore dopo più la pausa pranzo, mentre il meccanismo in quella azienda è solo un modo di recuperare dei ritardi.
Inoltre in questa azienda si possono utilizzare permessi con recupero di ore fatte in più che però devono essere sottoposti ad approvazione dal proprio superiore mediante una procedura informatica: anche in questo caso la flessibilità non esiste in quanto se fosse davvero tale non ci sarebbe necessità di chiedere permessi, ma le ore si potrebbero compensare in automatico.

Per completare questo quadro, che secondo l’azienda è flessibile, qualche giorno fa è accaduto questo simpatico episodio.
Il Dipendente Riluttante è dovuto uscire un’ora prima, come gli capita tre o quattro volte al mese, e in questi casi, soprattutto se l’esigenza non è programmata, lui inserisce la richiesta di permesso a recupero, visto che di solito ha ore in più fatte in altri giorni, ed esce.
Così ha fatto anche quel giorno, anche perché il giorno prima era uscito un’ora dopo il suo orario perché aveva un incontro con un consulente che si era prolungato. Quando però qualche ora dopo ha controllato la posta da casa, ha trovato questa mail del suo gioviale responsabile.
Il giorno 18 settembre 2013 17:20, Responsabile Intermedio ha scritto:
Per cortesia avvisami in anticipo (anche a voce) quando inserisci delle richieste di uscita.
Ciao

Marcello
E così questa direttiva spazza via l’ultimo residuo di flessibilità che poteva essere vantato dalla brillante azienda, visto che secondo il simpatico responsabile intermedio anche per uscire mezz’ora prima, utilizzando sue ore da recuperare, il Dipendente Riluttante dovrebbe non solo inserire la richiesta, cosa già abbastanza seccante, ma anche andare a chiedere a voce.
La flessibilità nel fantastico mondo dell’azienda di fatto significa che ai dipendenti possono essere richiesti allungamenti di orario senza preavviso, perché quando avviene il contrario questo è quello che di solito accade….

venerdì 20 settembre 2013

Aziende metalmeccaniche e orari flessibili, il diavolo e l'acqua santa







Torniamo sulle idiosincrasie legate al controllo che vigono soprattutto nelle aziende metalmeccaniche.

Ci sono studi, esperienze, articoli che dimostrano oltre ogni dubbio che dare ai dipendenti tutta la libertà e la flessibilità possibile, senza mettere controlli inutili, contribuisce in maniera fondamentale alla soddisfazione dei dipendenti stessi.
Avere maggiore flessibilità e poter così conciliare meglio vita personale e lavoro, ma anche poter in questa maniera condividere gli spostamenti con altri, ha un valore elevatissimo per il dipendente e per questi vantaggi quasi tutti sarebbero anche disposti a guadagnare qualcosa in meno perché vuol dire migliorare la qualità della propria vita. L’azienda quindi avrebbe anche lei grandi vantaggi nel concedere tutta la flessibilità possibile perché in questa maniera potrebbe mantenere retribuzioni leggermente più basse e potrebbe spendere meno tempo, strumenti e lavoro di persone per tenere sotto controllo tutti limitandosi a evitare gli eccessi (cosa molto più facile).
Eppure in tutte le aziende in cui ho lavorato, la flessibilità era molto limitata e sottoposta a limiti, autorizzazioni, controlli e quindi di fatto non esisteva.

Le aziende metalmeccaniche, ma credo quelle manifatturiere in genere, ce l’hanno scritta nel DNA e non riescono a farne a meno, anche quando è dimostrato che è controproducente in molti contesti di lavoro.
Credo che ciò derivi dal retaggio di avere a che fare con fabbriche e linee di produzione: ovviamente la flessibilità in una linea di produzione è una cosa che deve essere per forza molto limitata perché il lavoro in quel contesto deve essere scandito con estrema precisione e gli operai sono collegati uno con l’altro. In più tradizionalmente in questi contesti i capi devono controllare che l’operaio lavori in quantità e qualità fino a pensare che se il capo non è presente il dipendente di sicuro non lavora bene. Probabilmente questi atteggiamenti hanno ragione di esistere o sono spiegabili in quei contesti, però io credo che diventano incongruenti quando vengono applicati ad attività diverse e addirittura possono diventare dannosi perché creano disagi, insoddisfazioni e addirittura tolgono la possibilità di utilizzare leve di motivazione dei dipendenti diverse dalla retribuzione.

Ma perché avviene questo? Possibile che le Risorse Umane di queste aziende non riescano a discriminare le situazioni e ad applicare le giuste tecniche? Possibile che non sappiano di tutte gli studi sui vantaggi di flessibilità o telelavoro, quando possono essere applicati?
Sono ignoranti, perché non conoscono questi studi motivazionali, o sono incompetenti, perché li conoscono ma non li applicano per strani motivi o semplicemente per resistenza a cambiare mentalità?
E’ qualcosa che mi chiedo da anni senza avere mai ottenuto una spiegazione

venerdì 6 settembre 2013

Venerdì informali


 

Riprendiamo dopo le vacanze estive, che come sempre danno un po' di sollievo dalle follie aziendali, ma il sollievo come ogni anno è breve e già mi rendo conto che uso il termine vacanze per dissociarmi anche solo in questo dall’azienda in cui viene utilizzato, questa volta giustamente, il termine ferie.
 
Comunque in questi giorni in vacanza parlavo con amici che condividono il mio destino di dipendenti di azienda ed era emersa un’altra simpatica usanza che vige in alcuni di questi ambienti e che mi sembra che come sempre derivi dalla abitudine innata che vige in azienda di concentrarsi più sulla forma che sulla sostanza soprattutto se la forma è appariscente.
In molti ambienti di lavoro aziendali infatti vige l’abitudine, soprattutto per gli uomini, di adottare uno stile di abbigliamento molto formale, più o meno elegante, a seconda dei gusti, ma quasi sempre con l’obbligo di indossare giacca e cravatta in tutte le occasioni.

Io non sopporto per niente questo tipo di abbigliamento, soprattutto non sopporto di doverlo adottare sempre anche in giornate in cui magari devo lavorare da solo alla scrivania, ma fortunatamente ho sempre lavorato in ambienti in cui quest’obbligo era poco o per niente applicato e di fatto ho sempre potuto ignorarlo e andare al lavoro con abbigliamento normale, a meno di non avere occasioni che mi facessero pensare che era meglio vestirsi diversamente (riunioni con ospiti esterni, visite, convegni etc.).
Eppure so che queste sono eccezioni e persino che a volte io ho ignorato quello che era un po’ la tendenza generale: in molti ambienti questo obbligo è abbastanza sentito anche se spesso in molte occasioni non sarebbe necessario, spesso è scomodo e sicuramente anche molto più costoso.
Però all’azienda piace questo ambiente formale che da un’idea esteriore di grande professionalità e chiaramente qualcosa che dà un’idea esteriore senza necessità che dietro ci sia una sostanza è per l’inclinazione aziendale irresistibile come il miele per le api.

Ma molte aziende non si accontentano di questa imposizione vuota di significato e in esse vige il cosiddetto Venerdì informale o, come chiaramente si preferisce dire in azienda, Undressed Friday. Questa fantastica idea consiste nel consentire e a volte imporre che il Venerdì si vada al lavoro vestiti informalmente, spesso anche sciattamente.
La cosa fantastica e che anche questa abitudine prescinde dall’utilità: se si hanno occasioni formali che cadono di Venerdì si va lo stesso vestiti informalmente, ma allora sarebbe meglio sdoganare l’abbigliamento informale e pretendere giustamente una maggiore formalità quando le occasioni lo richiedono: che significato ha che il Venerdì le regole cambino? Cos’è l’ora d’aria o un altro modo per separare vita esterna da vita lavorativa marcando il confine fra il fine settimana e il resto dei giorni con questa specie di terra di nessuno?

Difficile dirlo, ma certo nei fatti è un ennesimo delirio aziendale collettivo.