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mercoledì 31 luglio 2013

La teoria del bravo meccanico






Ricevo una nuova testimonianza dalla Dipendente Recalcitrante che pubblico volentieri, perché ci introduce a un argomento che vorrei trattare in prossimi post.

Caro Dipendente Riluttante,
vorrei confrontarmi con te su quella che chiamo “La teoria del bravo meccanico”.

Sicuramente tu possiedi un’automobile e non essendo meccanico, ti capiterà di rivolgerti a un’officina.
La tua è una bella auto, diciamo “performante” come direbbero in azienda. Questa auto ti serve negli spostamenti quotidiani (lavoro, spesa, famiglia) e hai bisogno che sia sempre funzionante. Diciamo H24, sempre per parlare in “aziendalese”. Periodicamente ti rivolgi a una officina, fai il tagliando, controlli le gomme, il livello dell’olio. Esegui quelle piccole manutenzioni periodiche che mantengono il veicolo in buone condizioni e ti assicurano un’efficienza H24. E’ fondamentale l’intervento del meccanico, che la sottopone a tutte le verifiche del caso, i test e si cura che tutte le parti siano funzionanti. Il meccanico è una persona competente e disponibile. Se succede un guasto improvviso all’auto, lo chiami e lui si precipita in aiuto. Se non lui personalmente, interviene un Servizio di soccorso stradale o Carroattrezzi convenzionato. Nessuno si sognerebbe di girare con il meccanico sempre a bordo del veicolo perché “se poi succede qualcosa?”. Il meccanico lavora comodamente nella sua officina e quando hai bisogno di lui è sufficiente una telefonata perché lui si attivi intervenendo personalmente o contattando servizi associati. Credo che nessuna persona si porti perennemente in auto un meccanico, ma potrei sbagliarmi.

Ora immaginiamo che l’auto performante con disponibilità sulle H24 sia il Sistema Informatico di un’azienda. Quell’insieme di servizi ormai vitali per qualsiasi impresa, come la posta elettronica, la navigazione internet, il centralino telefonico, database e applicazioni nonché i computer di tutti i collaboratori (Con un facile esercizio di immaginazione è possibile adattare la teoria del bravo meccanico ad altri reparti in azienda)
Io sono il meccanico. Io mi occupo di fare la manutenzione necessaria affinché tutta l’infrastruttura funzioni. Essendo un bravo meccanico la mia “auto informatica” non si ferma per strada gettando tutti nel panico, perché mi preoccupo per tempo della manutenzione, del tagliando, eccetera.  Sorprese e incidenti possono comunque verificarsi e di fronte a questi intervengo personalmente o contattando chi potrà risolvere il guasto, esattamente come un bravo meccanico. Con una sola differenza: io non posso stare nella mia comoda officina.
Io sono il meccanico che l’azienda vuole sempre tenere a bordo del veicolo anche se il veicolo si guasta raramente! Su questo “raramente” le aziende adorano quantificare con statistiche e con fantasiosi SLA (che per fortuna non sono una malattia, ma un semplice insieme di indicatori concordati che misurano il livello di servizio e aiutano nel monitoraggio del servizio stesso). Quindi l’azienda che sa quantificare il “raramente” può facilmente stabilire che la mia quotidiana presenza in ufficio è spesso inutile.

L’azienda potrebbe felicemente liberare la mia scrivania e sottoscrivere un abbonamento ADSL concedendomi il temutissimo TELELAVORO, ma per farlo deve superare una delle sue più ataviche paure. Questa forma di lavoro su cui unanimemente tutti concordano nel sostenere che può garantire vantaggi per tutti: aziende, dipendenti, famiglie, società, di fatto invece è lo spauracchio di molte imprese che hanno la paura folle che il dipendente non lavori, aspetto irrazionale perché il dipendente che non lavora può farlo tranquillamente anche in ufficio. In questo caso però la paura è ancora più immotivata perché portarsi un meccanico sempre in auto per paura dei guasti improvvisi non significa farlo lavorare! E’ un meccanico: lavora se si guasta qualcosa! Se la manutenzione è fatta con regolarità, il lavoro sarà poco pur restando che deve essere disponibile e pronto a intervenire.
Io vorrei stare in ufficio il tempo che serve, il tempo realmente necessario. Il resto da casa , anzi da REMOTO, parola quasi disprezzata dalle Risorse Umane. Se l’utilizzo della definizione ”Home Office”  rassicura l’Entusiasta Responsabile delle Risorse Umane che immagina lo scrupoloso dipendente svolgere la mansione seduto al tavolo di casa come fosse una scrivania, l’utilizzo della definizione “da remoto” apre scenari ben più vaghi e terrificanti quali spiagge, barche a vela, baite di montagna. Il dipendente potrebbe essere ovunque nel mondo … e potrebbe anche restarci se il lavoro che svolge da ovunque nel mondo è un lavoro fatto bene e di qualità! O no?

No. Il piantone è molto apprezzato in azienda. L’importante è esserci! Non importa a fare cosa, l’importante è accumulare il maggior numero di ore di piantone e fingersi sempre occupati o meglio ancora sovra-occupati se vogliamo riscuotere un sicuro successo aziendale!  Dal mio punto di vista, un meccanico sempre occupato potrebbe anche voler dire che lavora male. Immagina di entrare in una officina sempre piena di auto guaste. Si potrebbe pensare che ha troppi clienti e che lavorando in fretta trascuri i dettagli e non svolga un lavoro approfondito, con il rischio che a una prima riparazione ne possano seguire altre entro poco tempo. Oppure si potrebbe pensare che non sa pianificare al meglio i tempi delle riparazioni e l’auto verrà riparata chissà quando, con ritardi sistematici.

Al contrario immagino un meccanico ben organizzato, tranquillo, magari abbronzato,  che pianifica un sano “tempo morto” tra le attività (o il responsabile dovrebbe prevedere questo spazio) per alzare la testa dal quotidiano affanno e apprendere qualche nuovo strumento che gli consenta di essere più efficace-efficiente, che gli consenta di esplorare nuovi orizzonti. Ma questa è un’altra storia …
 
Un caro saluto

La Dipendente Recalcitrante

 

 

 

 

 

lunedì 29 luglio 2013

Dirigenti in cerca di suggerimenti






Eccoci di nuovo qui con un breve, ma divertente episodio di vita aziendale.
 
Il dipendente riluttante era stato incaricato di preparare una relazione su un nuovo sistema di incentivazione approvato a Dicembre scorso che coinvolgeva i prodotti aziendali. Fra incertezze del decreto e continui rinvii interni si è giunti fino ad oggi per pubblicare questa relazione sul sito.
Circa due settimane fa, quando ormai l'ultima versione era stata finalmente concordata con il brillante quadro intermedio di cui già conosciamo le eccezionali doti decisionali, il dirigente a cui fanno capo sia il dipendente riluttante che il quadro intermedio, interviene perché secondo lui le macchine che secondo il dipendente riluttante non rientravano fra quelle incentivabili possono invece essere incluse.
Segue una breve discussione in cui il dipendente riluttante spiega che dall'esame che ha fatto tali macchine non possono rientrare in quanto non hanno un rapporto di prova sulle prestazioni da parte di un laboratorio terzo che certifichi che siano sopra i limiti richiesti per accedere agli incentivi. Secondo il dirigente però questa condizione è aggirabile e alla fine chiede al dipendente riluttante di fare un elenco di tali macchine e delle loro prestazioni, in modo che ci possa pensare sopra.
 
Il dipendente riluttante realizza quest'elenco e lo manda per mail al quadro intermedio e al dirigente, dicendo loro che attenderà un ok per far inserire la relazione sul sito. Naturalmente passa un'altra settimana, ma entrambi i brillanti manager si guardano bene da dare questo ok che dovrebbe sbloccare una relazione che è già a detta loro in ritardo.
Il dipendente potrebbe anche fermarsi qui, ma per scrupolo qualche giorno fa ricorda al quadro intermedio che la relazione è ferma in attesa di risposta, dopo che lui ha inviato l'elenco che era stato richiesto. Il quadro intermedio, come al solito, cerca di ribaltare la patata sul dipendente riluttante dicendogli che occorre essere proattivi e perciò servirebbe fare delle proposte al dirigente per sbloccare la situazione.
A quel punto incredulo e anche un po' seccato il dipendente riluttante alza la voce e dice al quadro che lui la sua proposta l'aveva già fatta e che secondo lui quelle macchine non rientrano negli incentivi e che era il dirigente a pensare il contrario e quindi era lui che doveva decidere.
 
Riassumendo questa strana situazione si può ricavare un insegnamento su una simpatica caratteristica dei manager aziendali: vogliono intervenire nei processi aziendali con le loro leggendarie capacità decisionali, ma vorrebbero anche che queste importanti decisioni siano loro suggerite dai loro dipendenti.....

giovedì 18 luglio 2013

La sofisticata tecnica di...sparare a casaccio.







Vi ricordate il racconto di qualche tempo fa sulla capacità decisionale?
 
Tutta la storia partiva da un'attività, denominata Attività A, che non aveva una scadenza ben definita e che per di più era difficile da quantificare in termini di tempo.
Come avevo raccontato, visto che l'attività era abbastanza complessa che non si avevano precedenti esperienze e per di più che c'era bisogno del lavoro di diverse persone in diversi enti, che naturalmente avevano anche altri lavori da svolgere, la cosa più sensata da fare sarebbe stata quella di non dare date precise e indicare solamente un periodo generico.
In alternativa si sarebbe dovuta fare un'analisi più precisa, suddividendo l'attività in sezioni più semplici, valutare il lavoro delle varie persone, verificare la tempistica di queste persone ed eventuali conflitti con altri incarichi e alla fine stimare una data più precisa. Esistono tecniche specifiche e programmi sofisticati per fare questo tipo di analisi, nel caso che si decida che sia indispensabile quantificare in maniera più precisa una scadenza.
In questo caso però non esistevano richieste così stringenti e quindi non era molto utile seguire un simile approccio, ma invece di fare quello che il buon senso avrebbe suggerito, in questa situazione il nostro brillante quadro intermedio aveva pensato bene di sparare una data a casaccio e presentarla alle agenzie commerciali.
 
Ovviamente le cose sono andate come era naturale che avvenisse e la scadenza di fine Maggio decisa a casaccio non è stata neanche sfiorata.
Attualmente una persona di uno degli enti coinvolti, ha comunicato che non può fare una delle attività richieste perché deve svolgere altri lavori (che fanno capo peraltro allo stesso brillante quadro intermedio) e quindi ha comunicato questo conflitto chiedendo quale attività sia più importante altrimenti l'Attività A ritarderà ulteriormente anche sulle ultime scadenze previste (sempre con la tecnica sofisticata di "sparare a casaccio").
Non ci sarebbe però nessun problema in tutto questo, perché comunque l'Attività A è andata comunque avanti e ormai è completa all'80% e quindi tutto fa pensare che entro breve potrà essere completata e sarà comunque un lavoro ben svolto.
 
Il problema però è che in teoria il responsabile dell'Attività A è proprio il Dipendente Riluttante, anche se in realtà le scadenze e le tempistiche non le ha potute decidere lui, ma il suo brillante responsabile. Il quale naturalmente ora non prenderà semplicemente atto che era praticamente impossibile rispettare la prima scadenza, e del resto nessuno glielo aveva garantito, ne abbozzerà come dovrebbe essere se si fosse trattato solamente di un gioco delle parti per tenere comunque in tensione la struttura.
Al contrario, il Dipendente Riluttante anche se ancora non è avvenuto sa perfettamente che una volta che il responsabile intermedio si renderà conto dell'ulteriore teorico ritardo (perché è un ritardo su una scadenza solamente immaginata) comincerà un bel pistolotto sulla responsabilità di far rispettare i tempi, senza considerare che questo sarebbe giusto se chi deve prendersi questa responsabilità avesse la possibilità di fare delle stime e delle analisi, prendersi eventuali margini e avere anche delle risorse affidate perlomeno per una certa quota. In caso contrario sarebbe come contestare a un carrozziere un preventivo che ci si era fatti da soli.
 Oppure è semplicemente una ennesima dimostrazione che esiste un'unica attività in cui i migliori dirigenti e quadri aziendali sanno sempre eccellere e non temono rivali.

L'antica arte di fare i froci con il culo degli altri.

giovedì 4 luglio 2013

Incarichi senza senso: come evitarli?







Ho trovato questa descrizione nello spassoso libri “Il principio di Dilbert”
 
Il dirigente tipo crea molti incarichi senza senso per i suoi dipendenti. La maggior parte di questi incarichi va a gente tanto sfortunata da ricadere in una di queste categorie.
- La persona che siede più vicino all’ufficio del capo
- La prima persona che fa una domanda sull’argomento
- La prima persona che entra nell’ufficio del capo dopo la creazione dell’incarico
In nessuna circostanza fate domande su qualcosa che non abbia le caratteristiche del vostro lavoro. Le vostre domande verrebbero interpretate come interesse ad accollarsi il nuovo lavoro, per il solo fatto di aver posto la domanda salireste alla posizione “molto appropriato” per qualunque incarico insensato nel vostro reparto.
Agli occhi del capo, lo sfortunato subordinato che ha l’ufficio più vicino al suo appare come un enorme vassoio delle “pratiche evase”. Evitate questa collocazione, sarebbe peggio di una condanna al carcere. Il vostro valore aziendale sarebbe sempre associato a una fiumana di compiti irrilevanti, la vostra carriera non si riprenderebbe mai da una cattiva collocazione dell’ufficio.
A meno che non sia assolutamente necessario, non entrate mai nell’ufficio del capo: ogni capo riserva un angolo della scrivania a compiti senza senso che vengono distribuiti come caramelle ai visitatori. Tenete sempre i contatti col capo tramite segreteria telefonica o posta elettronica, evitando così le “sorprese” in cui si imbattono i colleghi meno furbi che lo contattano di persona.
 
Credo che sia davvero azzeccata perché effettivamente nel fantastico mondo dell’azienda i capi hanno il grazioso vezzo di assegnare incarichi che ogni dipendente sano di mente deve assolutamente evitare e che normalmente vengono distribuiti proprio con i sofisticati criteri che vengono ben descritti nel brano riportato.

Anche in questa situazione emergono le simpatiche peculiarità dell’amichevole mondo aziendale: in altri contesti nel caso di incarichi particolarmente sgraditi si usano criteri di turnazione, mentre nel fantastico mondo dell’azienda questo approccio non trova alcun seguito.
Anzi di solito si evita accuratamente di ammettere esplicitamente che esistano questo tipo di incarichi di cui invece tutti di fatto conoscono l’esistenza e che vengono spesso definiti uccelli paduli nel colorito gergo aziendale. I capi invece li faranno sempre passare per incarichi di grande importanza, compiti da cui l’azienda si aspetta moltissimo, che possono dare grandi visibilità a chi ne viene incaricato il quale è stato scelto con cura in base alle qualità di “efficienzaefficaciaproattività” (tutto attaccato).
In realtà spesso è assolutamente il contrario: questo tipo di incarichi oltre a essere una seccatura, sono spesso anche di scarsa utilità e il malcapitato che se ne deve occupare deve anche subire il danno che altri dipendenti si occupano di incarichi più importanti e quindi più visibili avendo così maggiori probabilità di ottenere benefici e riconoscimenti.

Il punto è che se avvenisse come in altri ambienti di lavoro, sarebbe esplicita l’esistenza di lavori sgraditi e dannosi, verrebbero limitati a casi di indiscussa utilità e sarebbero suddivisi equamente. Seguendo invece l’approccio aziendale questi incarichi si moltiplicano, perché c’è sempre qualcuno a cui appiopparli e di fatto si può esserne investiti semplicemente sulla base di eventi sfavorevoli, un po’ come trovarsi a seguire una corrente non voluta.
Una delle più importanti attività in azienda è proprio quella di evitare di entrare nella corrente, nei modi che suggerisce Dilbert, oppure quella di uscirne una volta entrati: non riuscirci al contrario è sicuramente una delle maggiori disgrazie nella vita aziendale che provoca anche forte  demotivazione e cali di produttività.