E' vero che alcuni lavoratori dipendenti sono (ancora) protetti dall'Articolo
18, ma è altrettanto vero che c'è ormai una maggioranza che questa tutela non ce
l'ha e questo a causa di un disegno politico ben preciso, anche se socialmente
folle.
Di fatto questo è accaduto perché la precarietà occupazionale è il prezzo sociale pagato ai molti investitori esteri che si "radicano" sul territorio per quel tanto che reputano profittevole (processo cofinanziato dai contribuenti), per poi minacciare la smobilitazione, e la migrazione dove le prospettive di guadagno risultino maggiormente favorevoli, nel momento in cui la "competizione internazionale" lo richieda.
In Italia i casi non mancano, al pari delle italianissime delocalizzazioni.
Esporre governi e lavoratori a un ricatto permanente, tale da scatenare dumping salariale e fiscale tra paesi diversi per grado di sviluppo, in un regime di libera circolazione dei capitali, consente al grande capitale di cogliere fior da fiore nel mare magnum della globalizzazione, garantendo inoltre il vantaggio competitivo di poter diluire gli assetti societari su più giurisdizioni fiscali (si scaricano i costi, spesso gonfiati ad hoc, dove la tassazione sui redditi di impresa è più alta, mentre si dichiarano i relativi profitti dove è più bassa, come nella "credibile" Irlanda). Bella cosa l'efficienza del "libero mercato", non c'è che dire...
Questo spiega perché durante la costruzione del Mercato unico europeo e dell'Unione economica e monetaria non si sia provveduto nemmeno ad un'armonizzazione fiscale dei rispettivi regimi nazionali.
Rende palesi quali interessi vi fossero dietro tanta fretta: gli stessi che hanno consapevolmente premuto per avere subito un sistema generatore di insanabili squilibri, i cui costi si sarebbero scaricati sui più deboli, piuttosto che attendere, nel caso ci fosse stata la volontà politica di farlo, l'armonizzazione delle economie dei paesi membri.
E non poteva essere altrimenti avendola sottomessa, cooptata o acquisita, quella volontà politica.
Di fatto questo è accaduto perché la precarietà occupazionale è il prezzo sociale pagato ai molti investitori esteri che si "radicano" sul territorio per quel tanto che reputano profittevole (processo cofinanziato dai contribuenti), per poi minacciare la smobilitazione, e la migrazione dove le prospettive di guadagno risultino maggiormente favorevoli, nel momento in cui la "competizione internazionale" lo richieda.
In Italia i casi non mancano, al pari delle italianissime delocalizzazioni.
Esporre governi e lavoratori a un ricatto permanente, tale da scatenare dumping salariale e fiscale tra paesi diversi per grado di sviluppo, in un regime di libera circolazione dei capitali, consente al grande capitale di cogliere fior da fiore nel mare magnum della globalizzazione, garantendo inoltre il vantaggio competitivo di poter diluire gli assetti societari su più giurisdizioni fiscali (si scaricano i costi, spesso gonfiati ad hoc, dove la tassazione sui redditi di impresa è più alta, mentre si dichiarano i relativi profitti dove è più bassa, come nella "credibile" Irlanda). Bella cosa l'efficienza del "libero mercato", non c'è che dire...
Questo spiega perché durante la costruzione del Mercato unico europeo e dell'Unione economica e monetaria non si sia provveduto nemmeno ad un'armonizzazione fiscale dei rispettivi regimi nazionali.
Rende palesi quali interessi vi fossero dietro tanta fretta: gli stessi che hanno consapevolmente premuto per avere subito un sistema generatore di insanabili squilibri, i cui costi si sarebbero scaricati sui più deboli, piuttosto che attendere, nel caso ci fosse stata la volontà politica di farlo, l'armonizzazione delle economie dei paesi membri.
E non poteva essere altrimenti avendola sottomessa, cooptata o acquisita, quella volontà politica.
E in tutto questo delirio in azienda si continua a chiedere attaccamento e fedeltà ai dipendenti, salvo poi sbarazzarsene senza alcuno scrupolo o esitazione nel momento che gli interessi aziendali divergano anche solo per motivi nebulosi....
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